Lactarius tesquorum, aka marieddhu / mucchialuru / pucchiariellu
Inviato: 17 dic 2022, 18:14
L'uso culinario dei lattari lanuginosi piccanti è una tradizione diffusa attraverso tutta l'area mediterranea, come anche in varie culture slave, dove sono conosciuti come "volnushki" (= lanosi). In Italia se ne conserva traccia principalmente nel Salento ed in alcune aree della Calabria, zone in cui abbondano miconimi anche localissimi per il Lactarius tesquorum, specie amata da tempo immemore, nomi che ne testimoniano le due caratteristiche più identitarie: il suo gusto specifico, e la sua identità micorizzante elettiva riservata alla macchia di cisto.

Nomi salentini:
- marieddu / marieddhu / marieddhru / mareddru = "amarognolo" (area leccese)
- mucchiarulu / mucchialuru / mucchiarieddu / fung de mucch = "fungo di macchia", cioè di cisto (fascia pedemontana)
- marieddhu di mucchiu / amarrieddu ti mucchiu / amarieddhu 'i mucchiu = sovrapposizione dei due precedenti (brindisino)
[NB: non va confuso con due specie simili, ma di taglia maggiore e generalmente (tranne in pochissime zone) non consumati, L. zonarius e L. acerrimus, localmente distinti come marieddhune, mucchialuru di frasca, o fong ascqint / fungo ascante / aschuànt / asckuanti = fungo di frasca (Monopoli, Taranto, Gioia, Grottaglie).]
Il nome principale, che riprende il suo gusto specifico, permette forse di tracciare una filogenia etimologica dell'usanza: mentre in Russo ed Ukraino quel taxon vernacolare è più tipicamente riservato a Lactarius rufus [= горькушка / gorkushka, гірчаки / hirchaky = "l'amaro"], nella lingua ceca il nome comune hořké, l'amarognolo, designa precisamente la volnushka rosa L. torminosus, la quasi sosia del nostro che però preferisce le betulle al cisto.]
Nomi calabri:
- mucchjàrìèddru / mucchjàrùlu = "fungo di macchia", cioè di cisto (S. Pietro Guarano, Bisignano)
- pucchiariellu / fungiu 'i pucchiu = sinonimo, nel geoletto cosentino, pollino e a Castrovillari
- vucis (Cassano all'Ionio) = [etim. incerta]
La specie è comparsa più volte qui in FeM, con qualche accenno al suo uso poco diffuso in altre zone d'Italia. Ma si tratta di tradizione piuttosto viva e vegeta: per Errico, nel suo recente, circostanziato Funghi del Salento “è il famoso marieddhu, il fungo più conosciuto e consumato regolarmente da sempre”; per D'Amico “il fungo per eccellenza del Salento, come il Cardoncello per la Murgia”; e De Giorgi & Baglivo confermano, considerando “il tradizionale consumo, che ne prevede una sbollentatura, non ha mai dato casi di intossicazioni segnalate, è da ritenersi commestibile”.
La scienza micologica ha cominciato a prendere nota della specie molto in ritardo, dandole battesimo, sulla base di collezioni dai bassi monti berberi del Rif e dalla Corsica, soltanto nel 1979, a cura di Malençon ("Champignons du Maroc" in Beihefte zur Sydowia 8, pp. 258-267). La sua scelta dell'epiteto, ripreso da quello che Fries coniò per il suo Agaricus tesquorum, dall'habitat "in clivis aridis apricis", cioè in lande deserte (dal Latino loca tesqua), potrebbe essere un cenno a Singer (alla memoria del quale quell'edizione di Sydowia era dedicata), che aveva traslocato quel tesquorum originario in Lyophyllum.
Per quanto riguarda il suo impiego culinario, nella tradizione locale la specie è considerata immancabile sulle tavole a partire da Ognissanti e per tutto l’inverno. L'approccio più spontaneo e rustico della sua preparazione è "rustuti sobbra lu fuecu con olio ca pizzica a ncanna e sali", cioè alla brace, con solo olio e sale; ma è ugualmente di tradizione la sua preventiva sobbollitura breve, per poi procedere a vari intingoli o conserve. Vi riporto qui di seguito qualche ricetta locale.

Funghi marieddhri alla brace

Funghi marieddhi e cardoncelli alla salentina, di P. Ingusci

Funghi mareddhi in umido, di Silvana (aka ipasticcidicasamia)
Di questa specie è localmente conosciuta anche una variante, che nel geoletto cosentino è registrato con nome identiario che ne distinguerebbe il genere: pucchiariellu masculu. Si tratta di L. tesquorum parassitato da Hypomyces ochraceus (nell'attestazione registrata da Bonazzi). Quello dei lattari parassitati è una fenomenologia ben conosciuta, fino in nordamerica, dove i cosiddetti "lobster mushrooms" sono avidamente ricercati per le loro carattersitiche organolettiche specifiche. Lo stesso avviene in Spagna, dove accanto al guiscano/nícalo/rovellò, in varie regioni si stima ancor più il "guíscano macho" (Castilla La Mancha), parimenti maschilizzato, o (di trasformazione inversa) le "nícalas" (Castilla y León) e in Catalunya la "rovellona". L'esistenza del nome specifico cosentino testimonia un'attenzione speciale riservato alla variante nel meridione d'Italia, e come riportano infatti Sitta&Co, "tipicamente privi di lamelle, sono da considerare commestibili tradizionalmente consumati, talora anche con specifica identità a livello popolare e più apprezzati rispetto agli esemplari normali, in quanto la presenza degli Hypomyces li rende più compatti, resistenti e durevoli", e secondo molti, anche più saporiti - se ne trovo altra traccia specifica aggiornerò questo post.
Fonti
Nuytinck, Verbeken, Rinaldi, Leonardi, Pacioni & Comandini, 2004. "Characterization of Lactarius tesquorum ectomycorrhizae on Cistus sp. and molecular phylogeny of related European Lactarius taxa", in Mycologia vol. 96, n. 2, pp 272-282
Agnello C., 2006: "Lactarius tesquorum Malençon e suo consumo abituale nella Puglia Meridionale", in Rivista di Micologia AMB 49 (2): 163 - 176.
De Giorgi D. & Baglivo A., 2014: I funghi della Provincia di Lecce. AMB Lecce.
Errico A, 2014: Funghi del Salento. Congedo, Galatina.
Miceli A., 2017: "Lactarius tesquorum Malençon 1979, un fungo tipico dell’ambiente mediterraneo" (link alternativo)
Mele G., 2019: Lu “mucchiarieddu” (Lactarius tesquorum Malençon): commestibile nella storia e nella tradizione locale ma non inserito nelle liste “ufficiali” dei funghi commestibili.