Guardando nei volumi tedeschi moderni dedicati all'argomento, troviamo che la questione della pronuncia è tutt'oggi dibattuta: al contempo che viene ribadita la regola ortodossa della scansione metrica, ma viene accompagnata da una sostanziale dose di pragmaticità e finanche di rassegnazione alle eccezioni da riservare al
latino botanico.
Come scrive l’esauriente Genaust nel suo
Etymologisches Wörterbuch der botanischen Pflanzennamen del 1996:
Für die Aussprache der Taxa möchte ich […] keine zwingenden Empfehlungen geben, zumal sich auch international keine Konvention über eine einheitliche Aussprache abzeichnen würde. Im deutschen Sprachgebiet wird man daher die Taxa so lesen, als seien sie Fremdwörter wie Harmonika, Virus oder Streptomycin; ob das c vor hellen Vokalen als /k/ oder als /ts/ ausgesprochen wird, ist irrelevant. Was die Einleitungen der Bestimmungsbücher dazu schreiben, ist ohnehin sprachwissenschaftlich schlecht begründet. So gibt es keine «rein griechischen» Taxa mehr, da sie nach den Regeln als lateinisch zu gelten haben; wenn sich also das Graphem sch in Taxa wie Schoenus, Schinus oder Aeschynomene findet, die ja zunächst auch auf lateinische Namen zurückgehen, so kann dieses Graphem als Kombination von s + ch betrachtet und je nach folgendem Vokal wie in den Fremdwörtern Chor oder China ausgesprochen werden. Schwierig ist eine Empfehlung für solche Taxa, die dem Latein unbekannte Graphemkombinationen haben, wie Amelanchier, Forsythia, Loiseleuria oder Nopalxochia. Ich scheue mich nicht, diese Taxa wie gewöhnliche deutsche Fremdwörter auszusprechen; denn eine Wiedergabe nach den Regeln der gebenden Sprache, etwa als [amelã’ʃje], [fɔ:'sai0ia] oder [lwaz(ə)"lœria], erscheint vielen doch als ebenso gekünstelt, wie wenn man diese Gattungsnamen nach dem Muster des Lateins (mit der Aussprache [lɔisɛ'lɛVria]) behandeln würde. Überdies verfahren Engländer und Franzosen bei den ihnen vertrauten Namen genau umgekehrt. Es gilt also die Regel der Abtei Thélème: “FAY CE QUE VOULDRAS”, mit der entsprechenden Begründung bei Rabelais.”
Essendo il tedesco meno praticato tra noi, traduco:
“Per la pronuncia dei taxa, non darò [...] nessuna raccomandazione vincolante, tanto più che nessuna convenzione su una pronuncia uniforme emergerebbe a livello internazionale. Nell'area di lingua tedesca, i taxa saranno quindi letti come se fossero parole straniere come Harmonika, Virus o Streptomycin; che la c prima delle vocali leggere sia pronunciata come /k/ o come /ts/ è irrilevante. Ciò che si trova scritto nelle introduzioni dei libri di nomenclatura su questo punto è in ogni caso scarsamente giustificato in termini di linguistica. Per esempio, non esistono più taxa "puramente greci", poiché secondo le regole devono essere considerati latini; così, se il grafema sch si trova in taxa come Schoenus, Schinus o Aeschynomene, che inizialmente risalgono anche a nomi latini, questo grafema può essere considerato come una combinazione di s + ch e, a seconda della vocale seguente, pronunciato come nelle parole straniere Chor o China. È improbo fare una raccomandazione per taxa che hanno combinazioni di grafemi sconosciuti al latino, come Amelanchier, Forsythia, Loiseleuria o Nopalxochia. Non ho paura di pronunciare questi taxa in tedesco come normali parole straniere; perché una resa secondo le regole della lingua d’origine, per esempio come [amelã’ʃje], [fɔ:'sai0ia] o [lwaz(ə)"lœria], sembrerà ai più altrettanto artificiale che trattando questi nomi generici secondo il modello latino (con la pronuncia [lɔisɛ'lɛVria]). Inoltre, gli inglesi e i francesi fanno esattamente il contrario con i nomi che conoscono. Quindi si applica la regola del abbazia di Thélema a scomparti, secondo quanto enuncia Rabelais: FAY CE QUE VOULDRAS.”
E non c'è da sorprendersi: il tema aveva attirato l'attenzioni di autori tedescchi già prima, come il
botanico e linguista berlinese A. Voss, che nel 1911 avvertiva di dover relativizzare il proprio impeto prescrittivista (del quale da comunque bella sfoggia), nel saggio
Richtige Betonung der botanischen Namen:
Das Botanikerlatein ist kein Klassikerlatein, will auch kein solches vorstellen, aber es muß sich ihm anlehnen, soweit die Anforderungen, welche die Praxis an eine botanische Kunstsprache stellen muß, das irgend zulassen.
“Il latino botanico non è il latino classico, né vuole esserlo, ma deve basarsi su di esso per quanto lo permettono le esigenze pratiche di una lingua d’arte botanica.”
Questo relativismo lo troviamo ancora ben riassunto nel volume attualmente ancora di riferimento nel mondo anglofono,
Botanical Latin: history, grammar, syntax, terminology, and vocabulary del 1983 (ecc) di W.T. Stearns, il quale aggiunge un'altra considerazione generale che contestualizza la questione:
"Botanical Latin is essentially a written language, but the scientific names of plants often occur in speech. How they are pronounced really matters little provided they sound pleasant and are understood by all concerned.
Il latino essendo stato scelto come codice internazionale per gli scritti in materia di scienza botanica (ed altre), inevitabilmente presenterà delle fluttuazioni di pronuncia, quando lo si traspone nell'uso orale/parlato, che naturalmente saranno condizionati ognuno (a pari merito) dal proprio contesto culturale e linguistico.
Anche Gleason già scriveva:
"Now scientific names represent, in a way, a universal language among botanists, but in that sense they are used as written terms instead of spoken. It is the rare exception that they are used as common oral terms between persons speaking different languages. There is accordingly no reason why these terms, written always the same, should not be pronounced differently in different languages, depending on the custom and usage of the language employed. We have abundant precedent already for variable pronunciation in geographical terms: we say Paris, not Paree, the English say Pot'-omac, not Po-tom'-ac, and the Germans may even say Yova instead of Iowa, yet no confusion results."
Più di recente anche altri studiosi anglofoni riferiscono del loro approccio pragmatico-relativista alla questione della pronuncia: R. Alexander / N. Dunne, 2016
Say What: Pronouncing Botanical Latin, e T. Waters
Pronouncing Botanical Latin: a Personal Perspective del 2021.
In questo approccio relativista non vedo dunque nulla da biasimare ([urlhttps://unaparolaalgiorno.it/articoli/grammatica-dubbiosa/accento-alla-greca-e-accento-alla-latina-quale-scegliere-9)]qui un ripasso[/url] di quanto simili questioni investono anche altri vocaboli in italiano), con buona pace dei grammatici e filologi classicisti ortodossi e prescrittivisti. Paradossalmente, è proprio questo aspetto che testimonia quanto il latino scientifico/botanico sia una variante viva di quella che per il resto è a tutti gli effetti una lingua morta.
Quella di stabilire una sola regola complessiva valevole in toto e per chiunque sulla pronuncia dei binomiali delle specie - e potrebbe essere solo una versione integrale del latino Classico restituto, accenti, consonanti e vocali tutti - sembra un’ipotesi chimerica, superata dalla pratica ormai consolidata. Con questa scelta men che assoluta, però, almeno per i valori di consonanti e vocali si dovrà lasciar spazio alle pronunce adattate ognuna al proprio contesto storico-linguistico, per -myces, dunque i vari “-maisiis”, “-mühtzes”, “-mitzes”, “-misess”, “-mices” e chi più ne ha, più ne metta.
Così troviamo, quindi, la risposta al punto
γ.: la "giurisdizione" succitata sceglie per l'Italia non la regola assoluta della pronuncia latina Classica restituta, ma un'adesione al Latino Ecclesiastico all'Italiana. Scelta che ha senz'altro un suo perché - ma anche dei suoi limiti - come vedremo qui di seguito.